Accostandosi al mondo pittorico di Antonio Martini, risulta palesemente evincibile quanto la sua intera parabola espressiva rispecchi fedelmente -talvolta in maniera collimante, talaltre imprimendo delle vere e proprie digressioni- quello che è stato l’appalesarsi dell’arte nel corso del XX secolo, sicuramente il periodo più ricco di fermenti, certamente quello che ha rilasciato alla posterità il maggior numero di correnti creative e di collegati movimenti di pensiero.
Come ogni autentico figlio del suo tempo, Martini ha saputo interpretare la realtà ad egli coeva, carpirne i repentini cambiamenti e proporre una personale ed originale visione interpretativa.
Solo così può essere colta nella sua interezza l’evoluzione immaginativa di un uomo animato dall’amore per la raffigurazione, il quale ha mosso i primi passi avvalendosi dell’ispirazione tratta dalla sua terra d’origine, la Toscana, dove l’impronta impressa pochi anni prima dai Macchiaioli aveva lasciato un solco profondo.
Dal secondo dopoguerra in avanti la sua è stata una ricerca ininterrotta, portata avanti di pari passo con l’attività di scenografo cinematografico, profondendo il proprio apporto professionale nell’ambito di produzioni hollywoodiane, quali “Il tormento e l’estasi”, film che consacrò Charlton Heston con l’interpretazione del personaggio di Michelangelo Buonarroti.
La costante progressione verso l’astrattismo ha determinato la creazione di lavori dal taglio kandinskijano, per la cui denominazione -non a caso- sovente ricorre il titolo di “Composizione”, ed il segno risulta determinante per delimitare e definire le corrispondenze emozionali conferite alle cromie.
Ma è nell’ulteriore processo di studio che Martini approda all’elisione del segno ed all’espunzione delle linee, elevando il colore al rango di assoluto protagonista delle tele e portando quest’ultimo al centro di ogni scansione iconologica, al cui interno la descrizione cede il passo all’interpretazione.
I soggetti divengono dei veri e propri simboli, le immagini trasfuse delle profonde allegorie della realtà incombente.
Rimangono negli annali delle cronache della storia dell’arte la mostra personale spagnola del 1961, quando la stampa iberica di settore lo definì come “novello Francisco Goya”, così come l’invito a partecipare come ospite alla V Edizione del Premio “Termoli” nel 1960 presso il Castello Svevo, figurando in cartellone con colleghi del calibro di Carla Accardi, Franco Angeli, Gastone Novelli, Achille Perilli, Mimmo Rotella e Piero Ruggeri, selezionati da una giuria che vantava nomi quali quelli di Palma Bucarelli e di Giulio Carlo Argan (quest’ultimo ebbe a scrivere di lui: “La pittura di Antonio Martini è l’aggressione dell’esistenza contro la passività della presenza”).
Venuto a mancare nel 2016 nella sua Lucca (dove era nato nel 1920), il lascito creativo ed operativo di Martini è proseguito nel tempo attraverso l’amorevole apporto della figlia Anna Lena.
Fra le qualificanti presenze successive alla sua scomparsa non possono non essere menzionate la retrospettiva promossa dalla sua città natale dal 14 al 30 giugno 2019, le due edizioni di “Fiuggi Expo – Universo Arte e…non solo” presso l’Officina della Memoria e dell’Immagine, la Mostra “Sfumature d’Arte” alla Galleria E20 d’Arte al Castello di Rivoli (alle porte di Torino) e la IX Edizione della Rassegna Artistica Internazionale “Vette d’Arte” a Sestriere (presso la sede espositiva più elevata d’Europa) con tre pezzi che -a mo’ di sineddoche- ne hanno raccontato l’intera vicenda umana, creativa ed esistenziale.e forma, sostanza e soprattutto vita a delle vere e proprie storie, dove il colore (nelle sue caleidoscopiche declinazioni) assurge al rango di vero e proprio protagonista.
Enzo Nasillo Critico d’arte e Presidente di Orizzonti Contemporanei