Per cogliere nella loro interezza la vicenda e la caratura artistica di Claude Fouchécourt risulta imprescindibile tenere ben presente la collaterale, o meglio, parallela, attività letteraria, poggiante su di una nutrita bibliografia dove la predisposizione alla narrazione in prosa si è alternata negli anni con la stesura in versi di indelebili ricordi, di insopprimibili emozioni, di spaziati paesaggi, di autentici stati d’animo, di irripetibili attimi, così come di immaginarie situazioni frutto di una fantasia fervidamente inimbrigliabile.
Originario della Côte-d’Or –e precisamente di Beaune, in Borgogna, dove è nato il 9 gennaio 1932– Claude Fouchécourt ha avvertito sin da ragazzo una tensione elettiva, un trasporto filiale verso il mondo dei colori, tali da indurlo ad intraprendere soggiorni a Digione prima ed a Cannes successivamente, finalizzati al perfezionamento della formazione artistica.
Varcando le Alpi alla volta dell’Italia nel lontano 1966, egli ha impresso una svolta determinante tanto nella vita quanto per ciò che concerne i moduli espressivi, all’interno dei quali coesistono in armonica integrazione stilemi evocanti la mediterraneità francese ed elementi tipici della tradizione paesaggistica piemontese, filtrati e proposti con campiture che molto spesso nella loro resa travalicano il dato contingente.
La consistenza numerica delle Rassegne all’interno delle quali Claude Fouchécourt è stato protagonista rasenta l’incensibilità, ma non si può non ricordare la sua presenza al Grand Palais di Parigi per due anni consecutivi (1965 e 1966), a Cannes nel 1965 ed alla Biennale di Cherbourg in Bassa Normandia nel 1964, per ciò che attiene al suolo francese.
Alternando fino a pochi anni fa soggiorni fra il Piemonte e la Costa Azzurra, in Italia ha tenuto Mostre Personali a Firenze, a Milano, ad Asti, a Biella, a Cuneo nonché Torino, città d’elezione, così come annovera la collocazione di suoi dipinti non soltanto in svariate Collezioni Private, ma anche presso l’Ambasciata Spagnola di Parigi, la Pinacoteca di Savigliano, l’Ambasciata Belga a Washington, oltre al costituendo Museo di La Salle, in Valle d’Aosta, quest’ultimo derivato dal lascito donativo alla municipalità da parte del magnate Carlo Plassier, dove opere di Claude Fouchécourt troveranno il loro spazio accanto a quelle di rinomati artisti italiani e francesi del Novecento.
Definito dalla critica d’oltralpe «il pittore degli alberi», Fouchécourt è riuscito, attraverso i dipinti, a far parlare il silenzio, a consentire l’ascolto del vento, indirizzando, infatti, sovente la sua sensibile attenzione nei confronti delle piante, le quali, nel loro rapportarsi con la natura circostante e con l’immutabilmente cadenzato avvicendarsi delle stagioni, rappresentano una pertinente metafora del corso della vita.
L’arte di Claude Fouchécourt prova che anche nel secolo in cui viviamo non occorrono provocazioni gridate, fratture stilistiche, ripudio dei canoni acquisiti, quanto piuttosto essa risulta la dimostrazione che per dare forma e soprattutto colore (quindi vita) al proprio operato basta ascoltare e conseguentemente assecondare quella che Aristotele definiva «entelechia», ossia lo sviluppo ed il perseguimento di uno scopo che nasce, cresce e si evolve in sé, e giammai dettato o condizionato da ragioni esterne.