Il Museo Accorsi–Ometto di Torino presenta un’esposizione che intende esplorare il percorso artistico di quei pittori che, a vario titolo e in tempi anche diversi, frequentarono il «Cenacolo di Rivara», animato dalla figura di Carlo Pittara.
La mostra, aperta al pubblico dal 22 settembre al 15 gennaio 2017, ospita presso la sede di via Po, 55 circa settanta opere provenienti da collezioni private italiane, selezionate secondo un attento criterio qualitativo e storico. Dodici sono gli artisti presentati, provenienti da diverse regioni italiane e non solo, a sottolineare l’importanza di una stagione artistica che supera i confini regionali. Accanto ai piemontesi Carlo Pittara, Vittorio Avondo, Ernesto Bertea, Federico Pastoris (a cui si sarebbero aggiunti più tardi i torinesi Giovanni Battista Carpanetto, Adolfo Dalbesio e Francesco Romero di Moncalvo) sono presenti artisti liguri (Ernesto Rayper e Alberto Issel) o naturalizzati come tali (gli iberici D’Andrade e De Avendaño), nonché il fiorentino di natali, ma torinese di adozione Antenore Soldi.
Il momento storico da essi vissuto è caratterizzato dalla ricerca di un sensibile realismo nella rappresentazione del paesaggio agreste, con accenti diversi, ma improntati dalla comune attenzione prima al paesismo ancora intriso del romanticismo dello svizzero Alexandre Calame (che quasi tutti conobbero inizialmente a Ginevra), per poi assorbire gli influssi della pittura «in esterno» dei pittori della Scuola di Barbizon in Francia e delle novità di Corot, così come del linguaggio fontanesiano appreso attraverso contatti diretti, poi rinnovati negli anni di Rivara con il maestro reggiano a Volpiano, tramite anche le esortazioni del ligure Tammar Luxoro.
Il confronto tra i pittori iberici e quelli liguri iniziò dapprima negli incontri a Carcare, nel savonese, poi, soprattutto d’estate o in autunno, a Rivara, dove il lavoro gomito a gomito ebbe momenti catalizzanti, specie dopo l’inserimento nel gruppo di Rayper, su esortazione di D’Andrade. La scelta di confrontarsi con il paesaggio di Rivara avvenne non solo per l’amenità della località di campagna, ma anche perché tutti potevano godere della generosa ospitalità del banchiere Carlo Ogliani, cognato di Pittara, rivarese d’origine e proprietario di un’accogliente villa, nonché del vasto castello acquistato all’inizio degli anni Settanta del XIX secolo.
L’abituale consuetudine dei gioviali incontri, che connotò la rivoluzione realista di quei compagni di cavalletto, ebbe il proprio momento di maggiore vitalità e di fulgore a cavallo del 1870, sino alla precoce morte di Rayper nel 1873 e ad una catena di abbandoni alla fine del decennio, tra cui quello, parziale, dello stesso Pittara, che si sarebbe trasferito a Roma nel 1877 e a Parigi dopo il 1880 (anche se avrebbe continuato a tornare a Rivara ogni anno per qualche mese); così Avondo, D’Andrade, Pastoris e Bertea, variamente e progressivamente attratti dal restauro e dallo studio dei monumenti del medioevo pedemontano; sino a Carpanetto e Dalbesio, inclini altresì, come lo stesso Pittara, alle fascinazioni parigine della sintassi pittorica di De Nittis e di Boldini.
Valorizzata in primis dal poeta Giovanni Camerana, poi dai critici Emilio Zanzi, Marziano Bernardi e Roberto Longhi, l’importanza della cosiddetta Scuola di Rivara era già stata riconosciuta da Telemaco Signorini che, tuttavia, dimenticò Pittara per sottolineare il ruolo innovatore di Ernesto Rayper, indubbiamente la figura maggiormente dotata del gruppo. Carlo Pittara fu tuttavia il più produttivo e stilisticamente realista all’interno del cenacolo rivarese, progressivamente attratto dalla finezza e dal successo del linguaggio di De Nittis.
A questa “epopea” tardo-ottocentesca va il merito di avere definitivamente accantonato la ridondanza della pittura di storia e i ritardi di gusto dell’insegnamento accademico con un’espressione gioviale e sincera della realtà.