Gestire arte ed editoria oggi.
Nella sua Torino, Enzo Nasillo – critico d’arte e letterario, giornalista, operatore culturale tra i più preparati e impegnati nell’organizzare eventi, mostre, manifestazioni, per scoprire nuovi talenti e dare spazio agli artisti – durante la sosta imposta da questa “pandemia” globale, si è dedicato alla lettura, a ricerche per approfondire discipline che spesso si è costretti a rinviare, perché magari richiedono tempo, riflessione e introspezione. Naturalmente, ha utilizzato anche questo periodo prezioso per programmare la sua agenda e l’attività futura, legata all’Associazione Orizzonti Contemporanei e a quella editoriale della sua casa editrice Alhena.
Parla dei tuoi studi, di cosa facevi prima di intraprendere in proprio la tua attività con Orizzonti Contemporanei ed Alhena Editore.
Se devo essere sincero nel corso di questa piacevole intervista, per prima cosa devo confessare che da ragazzo non mi piaceva molto studiare. Tuttavia mi sono sempre impegnato per non dover mai perdere un anno, venendo sempre promosso. Può sembrare un paradosso in termini, ma la poca voglia di studiare secondo i dettami scolastici è sempre stata compensata da un’attenzione molto desta su tutto e da una continua voglia di apprendere. Durante l’università ho anche lavorato in molti settori, da quelli più umili (come l’edilizia e la meccanica), a quelli più vicini al mio campo professionale, come la gestione di stand per delle case editrici durante le fiere, il relativo rapporto con il pubblico e le collaborazioni con giornali, cartacei prima, on line successivamente.
Racconta qualche aneddoto curioso o un particolare insegnamento che hai acquisito nella tua giovanile esperienza.
Di aneddoti ne potrei raccontare così tanti da poterli trasformare nell’argomento di un libro intero. Potrei raccontare di aberrazioni e storture etico-comportamentali a cui mi è capitato di assistere nel corso di riunioni di giurie di premi in cui sono stato chiamato a partecipare, ma preferisco indugiare su un episodio bello. Uno in particolare mi piace ricordare. È stato quando ho conosciuto Claude Fouchécourt, un artista francese oltremodo geniale (è stato anche poeta e narratore), il quale per due anni consecutivi aveva esposto i suoi lavori al Grand Palais di Parigi. Oggi molti suoi lavori sono parte integrante di collezioni pubbliche di musei ed ambasciate, oltre ad essere in numerose collezioni private. Una volta giunto in Italia -parliamo degli anni Sessanta del secolo scorso- era stato recensito, seguito e presentato dal gotha della critica d’arte piemontese, fra cui Marziano Bernardi, Luigi Carluccio e Adalberto Rossi. Con gli anni era stato un po’ dimenticato. Auspice un’amica comune che ci ha presentato, è iniziata fra noi una collaborazione artistica ed editoriale molto proficua. Il primo libro pubblicato da Alhena Editore è suo: si intitola “Vite d’altri tempi”. La sua stima e la totale fiducia riservata alla mia persona, nonostante ci separassero anagraficamente quasi cinquant’anni, è una cosa che mi inorgoglì molto. Scomparso improvvisamente, ho sempre cercato di mantenerne desto il ricordo e di onorarne professionalmente la memoria.
Quale è stata la molla che ti ha fatto prendere questa decisione, non facile di questi tempi? C’è un avvenimento peculiare che ha inciso in modo particolare?
Come ti dicevo prima, la passione verso questo mondo ha radici assai profonde, per cui, dopo il conseguimento della laurea e l’espletamento del servizio militare con il grado di tenente, ho solamente incrementato i fronti operativi collegati all’arte e alla cultura. Assecondando la mia natura, ho negli anni accumulato un ragguardevole bagaglio di conoscenze, di approcci metodologici, il quale mi ha consentito di elaborare analisi sotto molteplici punti di vista, mettendo sempre in relazione arte, storia, letteratura, geografia, filosofia, psicologia, ossia contestualizzando la materia presa in esame.
Quali difficoltà devi affrontare nel gestire la tua attività? A quale target ti rivolgi?
Le difficoltà, se così vogliamo chiamarle, sono per lo più legate alle tempistiche preparatorie, dato che eventi, rassegne, mostre, uscite editoriali sono il frutto di un lavoro in cui ogni tassello deve essere collocato nella giusta posizione ed al momento giusto, per far sì che la resa complessiva sia sempre ottimale. Per ciò che concerne i target, lasciami cominciare con un’asserzione che ripeto sempre come un mantra: l’arte è di tutti! Conseguenza ne è che per me non esistono target. Ho avuto il privilegio e la fortuna di essere stato già da giovane il critico di riferimento di artisti affermati di gran lunga più anziani di me, i quali nel critico giovane vendevano il perpetuarsi del loro lascito creativo dopo la loro dipartita terrena. Oggi che ho maturato qualche anno di esperienza professionale, mi piace aiutare anche i giovani artisti a muovere i loro primi passi propositivi in un mondo sempre più difficile, complesso e disorientante. La stessa cosa riguarda collezionisti, galleristi e critici. Ho intrapreso ed intrattengo collaborazioni con gallerie operanti da poco ma guidate da persone appassionate, rette e competenti, così come con i musei; mi giovo dell’aiuto di giovani colleghi alla stessa maniera di quello offerto da critici più anziani, i quali mi onorano con la loro stima.
Quali sono, secondo te, i condizionamenti che agiscono sull’arte?
Sono tanti. Troppi. Moltissimi inutili. Per un collezionista il primo, sbagliato condizionamento è quello di ridurre l’acquisto di un’opera ad una mera operazione economica. Io consiglio sempre di partire da un presupposto emotivo e di gusto: un pezzo deve innanzitutto trasmettere e comunicare un’emozione e, di conseguenza, piacere. Per gli artisti, invece, il condizionamento più pernicioso è l’emulazione, sia sotto i profili stilistici, sia sotto quelli del successo. Io non mi stanco mai di ripetere loro: siate unici! È il secondo mantra…
L’arte può essere condizionata dalla società, dai poteri dominanti, dagli artisti famosi, da chi in ogni campo e forma la gestisce?
In molti hanno tentato di condizionare l’arte. Molto spesso succede, anche se oggi un po’ meno, che un gallerista o un mercante abbia l’esclusiva su un pittore del quale gestisce l’intera produzione. Di conseguenza cercherà di imporre a tutti i costi (sovrastimandolo) quel pittore, il quale si trova a dover dipingere a ciclo continuo ed in maniera rapida anche opere non necessariamente “sentite”. Si verifica così una distorsione tanto da parte della resa del pittore, quanto nel valore di mercato e nella possibilità di scelta per un ipotetico acquirente.
Come convivono valore estetico-artistico e valore commerciale o di mercato?
Questa è una domanda molto delicata, nella quale risiede la bravura di un critico d’arte, se non addirittura la sua stessa ragione di esistere. Il valore estetico-artistico è dato dalla capacità di un artista di avere qualcosa da dire (in termini di idee, messaggi, traslazione di sentimenti), dal suo percorso in questo campo e dalla corrispondenza biunivoca fra ciò che fa e ciò che è. Il valore commerciale o di mercato (che storicamente è arrivato dopo, arrivando a lambire il territorio della speculazione) dovrebbe (e dico dovrebbe) essere determinato dalla legge della domanda e dell’offerta. Nel campo dell’arte ci sono molte deroghe in tal senso. Mi spiego meglio. Ci sono stati casi di artisti che in vita sono stati quasi ignorati, certamente sottovalutati (la vicenda che noi tutti conosciamo di Vincent Van Gogh è in tal senso emblematica), per poi venire recuperarti una volta defunti. Di converso, assistiamo alla vendita (sarebbe meglio dire svendita) di opere di tanti artisti contemporanei ad un prezzo inferiore oggi che sono mancati, rispetto a quando erano in vita.
Si colleziona per investimento o per passione?
Tutti e due gli aspetti sono importanti, se parliamo di collezionismo. Però io suggerisco sempre di anteporre la passione all’investimento. La prima è una certezza, il secondo può dare dei problemi.
Come curatore, che consigli daresti ai collezionisti?
Come anticipavo nella riposta precedente, dare spazio alla passione ed alla forza emozionale che un’opera trasmette. Dopodiché, assicurarsi che l’autore abbia un buon curriculum e che non abbia cominciato ieri.
E un giovane che vuole cominciare a collezionare?
Tante possibilità ci sono oggi. Il primo consiglio che potrei dare è quello di incominciare con opere dalle quotazioni non esorbitanti e magari dalle dimensioni non eccessive. Sia per una ragione di costi, sia per una ragione di spazio, ciò permetterà di poter prendere altri pezzi dello stesso autore o di altri.
E gli artisti che iniziano il loro operato?
Gli artisti che oggi cominciano e si affacciano propositivamente sul mondo dell’arte sono un po’ come un aquilone dentro una tempesta: volano alto spinti dal loro entusiasmo, dalla loro fantasia, dalla loro forza creatrice, ma è un attimo per essere spazzati via, demotivarsi e gettare la spugna. Ci vuole sempre un’ancora, un punto di riferimento. Che mi ricordi, non c’è stato un solo artista che, facendo tutto da solo, sia arrivato in alto. È anche per questa ragione che ho dato vita all’Associazione Orizzonti Contemporanei: a tutti coloro che ne fanno parte offro un rapporto di consulenza e partenariato su tutte le questioni collegate all’arte e all’editoria.
Quali metodi adotti dal momento in cui inizi ad organizzare una mostra? Come scegli il tema? Quali sono i criteri che utilizzi nel selezionare gli artisti?
Questo aspetto della mia professione è più recente, ma in esso ho trasfuso tutte le competenze e le conoscenze acquisite negli altri campi. Qui il target è importante, perché per fare una mostra così tanto per farla non ci vuole molto, ma al tempo stesso non lascia segno. Quelle che sotto le insegne di Orizzonti Contemporanei organizzo, promuovo e propongo in ambito collettivo sono rassegne. La rassegna, a mio modo di vedere, per avere senso, deve avere elevata qualità nelle proposte, contiguità e sostegno da parte del territorio in cui viene allestita e soprattutto una selezione alla fonte. Non do mai un tema, perché un artista deve poter proporre ciò sente e non svolgere una traccia imposta per l’occasione. Se mai, una volta costituitasi nel suo corpus, sarà la rassegna ad adeguarsi per filoni alle proposte degli artisti, i quali sono liberi ed inimbrigliabili intrinsecamente. Le selezioni mi riescono agevolmente, perché come critico d’arte posseggo sufficienti elementi per poter valutare le capacità dei proponenti.
Parliamo di editoria. Oggi è più facile pubblicare, ma la qualità è migliorata?
Sì e no. È vero che oggi è più facile pubblicare (ci sono innumerevoli siti di self publishing), ma bisogna sempre considerare l’efficacia di ciò che si fa. Non basta stampare un libro. Occorre che venga letto e conosciuto.
Se chi vuole pubblicare un libro si rivolge a te, cosa gli proponi (collane, editing, pubblicità)? Come scegli gli autori, i testi?
In editoria io lavoro metodologicamente alla vecchia maniera, ma con gli strumenti moderni che la tecnologia ci offre. Innanzitutto non chiedo (come ormai fanno quasi tutti) il file pdf da mandare in stampa, ma vaglio il lavoro che mi sottopongono sotto tutti i suoi aspetti. Un libro, per diventare tale, deve avere qualcosa da dire, non solo per chi l’ha scritto. Dopodiché, insieme all’autore, entro in corpore vili, aiutandolo (nel caso in cui sia necessario) a migliorare la forma e la struttura della pubblicazione. Quest’ultima, ospitata a seconda dell’argomento trattato in una delle collane editoriali di Alhena, una volta uscita, viene pubblicizzata, recensita e presentata al pubblico come una nuova creatura bisognosa di tutto l’appoggio per poter iniziare a camminare da sola.
Perché tanti vogliono pubblicare poesia? Qual è lo stimolo che li spinge verso la carta stampata?
Prima di tutto, credo per lasciare una testimonianza imperitura di sé. Non di meno, anche per cristallizzare in versi la propria esistenza o un pregnante periodo della stessa, vergando considerazioni che vanno dal semplice vivere quotidiano, ai ricordi, fino ad affrontare i dubbi e le trepidazioni che hanno sempre condizionano l’uomo lungo tutto l’arco della propria parabola esistenziale.
Tu sei un editore di poesia e di prosa (romanzi, saggi). Come fate voi piccoli editori a sopravvivere?
Non è facile, ma se il prodotto finale è buono, piano piano si fa strada fra la gente.
Oggi si parla della crisi dell’editoria in genere. C’è davvero un calo nella vendita di libri?
Sicuramente. Un po’ perché non si ha tempo, un po’ perché si preferisce sprecare il poco tempo a diposizione sui social, con i giochi elettronici sui dispositivi mobili o su quelli caricati sulle consolle. Leggere un libro vuol dire alimentare la mente, dedicare il tempo solo a se stessi per crescere interiormente. C’è una bellissima considerazione dello scrittore Daniel Pennac, il quale dice che il tempo per leggere è come il tempo per amare: dilata il tempo per vivere. Uno dei pochi aspetti positivi, forse l’unico, del momento attuale che ci vede reclusi nelle nostre abitazioni è sicuramente l’incremento del tempo dedicato ad ambedue le attività.
Come operatore culturale a tutto tondo, come vedi il futuro in questo campo?
È un campo pieno di bivi, di tornanti e di svolte repentine. Bisogna avere fiuto ed un continuo legame con la realtà contemporanea, sempre più soggetta a cambiamenti veloci. Il futuro lo vedo bene, non perché sia un ottimista, ma perché considero la cultura (quella italiana in modo particolare) un’inesauribile giacimento di risorse. A differenza di tutti gli altri giacimenti, questo col passare del tempo cresce. È la storia che ce lo insegna. Però bisogna saper guardare lontano e non farsi eccessivamente condizionare dalle momentanee battute d’arresto.
Tu sei membro di giurie, sia a livello artistico che letterario: come giudichi i premi? Servono per farsi conoscere, per vendere i propri libri o i propri quadri?
In questi ultimi anni sono stato e sono anche presidente di commissioni valutatrici e selezionatrici al riguardo di premi artistici e letterari. I premi servono, se sono il punto di arrivo qualificante nell’ambito di una tappa del percorso di un artista o di uno scrittore. Purtroppo sovente sono vittime di molte degenerazioni e storture. Per prima cosa (potremmo chiamarlo terzo mantra!) i premi non si devono pagare, altrimenti non valgono nulla. Potrà sembrare un’ovvietà, ma nel corso della mia professione ho visto comportamenti che definire opachi equivarrebbe e fare un vero e proprio complimento. Ma, se le giurie sono composte da persone imparziali e competenti ed il premio non è la mera occasione per cercare di drenare denaro dagli sponsor e dalle amministrazioni pubbliche, la conseguenza sarà una qualificante ed inattaccabile valorizzazione delle opere e dei libri. Oggi si assiste -colpevoli in primis i partecipanti- ad eventi il cui unico requisito degno di nota ed usato a mo’ di specchietto per le allodole è quello della presenza del vip di turno, ma che nulla ha a che vedere con l’arte, la poesia, l’editoria o la cultura in generale. È un riflesso dei tempi, in cui l’apparire fa breccia prima rispetto all’essere, e molti ci marciano sopra.
Per essere, nel contempo, un critico d’arte e letterario di quali abilità si deve essere dotati?
Domanda interessante. Andiamo per ordine. Primariamente occorre avere una vasta cultura, non dico sapere tutto perché è impossibile, ma certamente le competenze sul campo (credo che nessuno di noi si farebbe curare e tantomeno operare da una persona che non abbia la laurea in medicina). Dopo la cultura (che non è la mera erudizione), a mio modo di vedere, vengono le capacità di ascolto e la conseguente comprensione: con ciò voglio dire che un bravo critico deve sapere leggere l’anima di un artista o di uno scrittore per poterli raccontare. In ultimis, ma per nulla meno importante, una elevata dote comunicativa verso il pubblico, portando quest’ultimo ad appassionarsi ad ambiti troppo spesso considerati ostici ed esclusivo appannaggio degli addetti ai lavori. Saper comunicare concetti complessi ed articolati in maniera semplice e comprensibile, senza banalizzare (potremmo chiamarlo il quarto mantra!).
Quali sono gli eventi, tra quelli organizzati da te, che più ti hanno appassionato?
Tu sei il primo che mi fa una domanda del genere. Ogni evento, ogni rassegna, ogni mostra, ogni presentazione di un autore o di un artista mi entusiasma sempre in egual misura, un po’ come lo era per Giacomo Leopardi ne “Il sabato del villaggio”. Nonostante gli anni e l’esperienza, questo tipo di emozione non scema mai. Penso sia la stessa cosa per un attore prima che si alzi il sipario o per un cantante prima di cominciare il concerto. È una molla molto forte. Penso che solo quando non proverò più questo tipo di sensazione, di forte emozione (sempre debitamente coperta) smetterò di fare ciò che faccio.
Quali sono i tuoi progetti futuri?
Il temporaneo flagello del Covid 19 ha portato tutti noi davanti a cambiamenti epocali, impensabili solo dieci settimane fa. Molti progetti già approvati o in fase di approntamento sono stati spostati più in là nel tempo: cionondimeno si terranno non appena cadranno le restrizioni, ma per adesso non voglio rivelare di più. È anche per questa ragione che abbiamo dato vita ad una realtà come quella di Orizzonti Contemporanei ed Alhena Editore: per far sì che la diversificazione dell’offerta culturale venga sempre garantita. Gli artisti e gli autori che seguo e che mi seguono -visto che per me la strada si fa sempre insieme- lo sanno bene. Nel mare calmo siamo tutti bravi nuotatori, ma è solo nella tempesta che si vede chi è realmente capace.