Un giorno, una mosca della specie più comune, spinta da morbosa curiosità, s'era introdotta in un blasonato ristorante torinese.
Aveva scelto quel locale ottocentesco per osservare il comportamento degli habitués più schizzinosi della città.
Subito la colpirono i saloni dagli alti plafonds à caissons bellamente istoriati e dalle panneggiate pareti rosso pompeiano. Lì veniva servito il non plus ultra della gastronomia italiana in uno sfoggio d'ineccepibili portate, si centellinavano vini dei migliori crus internazionali, mentre camerieri stilés si davano da fare con tatto e massima diligenza. I suoi occhietti avevano individuato un uomo sulla sessantina, corpulento, dalle guance rosse, seduto ad un appartato tavolo, ricoperto da una doppia tovaglia preziosamente ricamata. Appena tolta dal portaghiaccio trasudante, una bottiglia di champagne millésimé fu stappata con destrezza dal sommelier che ne versò un dito nell'apposito calice. Dopo averne saggiato i requisiti, l'autorevole cliente, dal piglio sentenzioso, annuì con un cenno del capo.
Cauta, l'intrusa si era nascosta dietro uno dei bracci rococò d'un lampadario di Murano. Persone di riguardo giunte in sordina e subito comodamente sistemate stavano già colloquiando con voce sommessa. Intanto la bestiolina fissava con curiosità il pingue Commendatore che, armato di pinze, dopo aver finito di degustare un astice, si detergeva con nonchalance le dita in un cristallino contenitore di acqua. Gli fu presentato poi sul carrello un cosciotto di agnello cotto al forno con tanto di contorni sì riccamente colorati da evocare l'estrosa tavolozza di un pittore impressionista. Lesto, l'addetto ai vini stava sostituendo la prestigiosa bottiglia vuota, nel frattempo mai perduta di vista dalla Nostra, il cui intento era di avvicinarsi al momento opportuno per assaggiarne furtivamente il biondo nettare. Si sarebbe necessariamente trattenuta ancora un po'. Dopo aver assaporato il dessert, il buongustaio prese un caffè ristretto accompagnato dal classico ballon di Rémy Martin. La Nostra, preoccupata, aveva visto scendere paurosamente il livello dello champagne e temeva di non trovarne più la benché minima lacrima. L'habitué, per educazione, ne aveva lasciato un avanzo nella coppa. Fra poco sarebbe stato fondamentale agire con tempismo e freddezza, prima che il diligente cameriere sparecchiasse in quattro e quattr'otto. Appena allontanatosi l'importante personaggio, la piccoletta piombò in picchiata sull'orlo del calice per attingere poi con folle dimenar di zampette al fondo di Dom Perignon. Le piacque talmente che indugiò a berne parecchi sorsi, pur sapendo che una mosca scoperta in un simile locale, quasi sicuramente avrebbe provocato un terremoto. Avvertito il passo felpato del direttore di sala, la bestiola se la svignò intenzionata a raggiungere la sua prima postazione fra le volute dello sfavillante lampadario di cristallo. Fu così rapida che nessuno se ne accorse, e se ne stupì perfino lei. Finora non si era ancora riusciti a calcolare la velocità degli scatti di una mosca domestica impegnata nei suoi mille e mille fulminei ghirigori, forse perché la cosa non desta alcun interesse. Dopo l'assaggio della divina bevanda era impossibile scorgere la piccola mosca, indubbiamente sbronza, ma sì gasata da aver raggiunto molto di più del vorticoso effetto di "curvatura spaziale", toccando la soglia della suprema simultaneità.
Il suo corpicino comunemente nero era diventato via via invisibile e curiosamente sospeso in aria non più però nel solito ambiente comprensivo di soffitto, pareti, tavoli e tutta l'eccelsa clientela ivi assisa. Perdurava attorno alla sua personcina lo stesso bagliore stellare paragonabile a quello suscitato da un'improvvisa “botta sulla capoccia”. Ignara dei problemi riguardanti la cosiddetta velocità della luce con i suoi relativi effetti consequenziali, s'era ritrovata stordita in una dimensione a lei del tutto sconosciuta. Infatti, dopo aver superato i limiti di celerità, di distanza e financo di tempo, la piccola sprovveduta si accorse di non aver raggiunto il suo posto di prima, dietro una delle volute del bel lampadario di Murano, bensì un luogo ignoto nel bel mezzo del firmamento rifulgente. Fu proprio lì che s'imbatté nell'Eterno in persona, sorpreso quanto lei alla vista di quell'esserino giunto per conto proprio, senza preavviso. Riavutosi dallo stupore, questi articolò con fare meravigliato: “Ehi, piccina! Mosca furbetta così gracile! Complimenti! Eccoti in Paradiso, un posto non proprio adatto agli uomini divenuti ribelli e sì emancipati da meritarsi tutti il Purgatorio, meglio ancora l'Inferno! Hanno ben altre aspirazioni! Ormai non mi occupo di loro: lascio l'incarico agli Arcangeli che sanno già come trattarli. Ma torniamo a noi piuttosto! Cosa pensi di fare adesso che ti ritrovi nel mio mondo perenne? Potresti tenermi compagnia, sono così solo! Ti farò visitare il mio superattico da dove potrai contemplare la Terra, il Sole, le Stelle ad una ad una, e mille altre meraviglie! Trascorreremo il Tempo viaggiando dappertutto e potrai bere a volontà il nettare degli dei, l'elisir di lunga vita che metto sempre da parte per gli amici; altro che il tuo Dom Perignon e sicuramente ben meglio del decantato Mouton Rothschild, il re di tutti gli champagne! Che ne dici?”.
Vedendo l'altra ammutolita, capino abbassato, Egli si affrettò ad aggiungere: “Non avrai mica l'intenzione di tornare laggiù a dar fastidio alla gente?!”.
Per nulla preparata ad essere messa su di un piedistallo, la gracile creatura, ordinariamente mossa da invidia, da stizza e ambizioni varie, per nulla avvezza al pentimento, scoppiò in un pianto dirotto. Fra un singhiozzo e l'altro riuscì a balbettare: “Mi perdoni, Maestà, la prego, mi faccia tornare quella di prima tra la mia gente! Le chiedo scusa!”.
Vistala così impaurita, l'Altissimo la rassicurò prontamente: “Tranquilla, piccola mia! Tu non sei affatto obbligata a restare qui! Scegli pure senza timore! Puoi rimanere per essere trattata con riguardo, altrimenti ti rimando a casa seduta stante. Fai come ti pare! Deciditi però!”.
Sollevata, chiese il permesso di rientrare, farfugliando un ringraziamento che lasciò di stucco il Padreterno, desideroso di un po' di compagnia e sul punto di ritrovarsi senza neppur una “sola mosca in pugno!”.
Forse sarà a motivo dello sconcerto mal celato dell'Altissimo, ma l'avviso di ritorno sulla Terra non venne eseguito rigorosamente. La Nostra non si ritrovò come prima al riparo del lampadario di Murano, bensì tre metri più in basso sul prezioso parquet di rovere del raffinato locale torinese. Proprio lì, sfortunatamente, l'accorto sommelier, avvistata tale sconcia presenza frullante come una trottola, s'avvicinò di gran fretta e, tutto schifato, la schiacciò con la punta della sua lucida scarpa.
La poveretta, che avrebbe potuto benissimo librarsi da immortale poco prima, ahimè, spirò! La buona sorte volle che il trapasso fosse istantaneo!
Ad onore del vero, ci furono speciali ronzii d'encomio solenne da parte dell'Ordine Universale dei ditteri, ben informato telepaticamente della sorte di ognuno dei suoi membri sparsi per il mondo. Secondo l'onorevole Istituto, non era tale il reato di curiosare nel mondo sofisticato degli uomini con l'intenzione di farsi una cultura per meritarsi una fine così atroce. Però, in compenso, si venne a sapere che il corpicino della nostra creaturina fu rinvenuto mummificato proprio in mezzo a due listelli del parquet ricoperto di un pregiato tappeto Kirman, accessorio dell'elegante mobilio collocato qua e là con savoir faire per il raffinato ristorante sabaudo. Quasi quasi, una sepoltura fatta a misura di Faraone!
Il racconto “L'ubiquità della mosca” ha ricevuto il premio “Città di Pinerolo 2007”.